dolore telecomandato 2
Posted on novembre 19, 2003
Filed Under comunic_azione
A completamento di quanto scritto ieri, di Fabrizio M. Rossi
Non voglio parlare del fatto in sé, sul quale desidero ora fortemente la dignità del silenzio, ma della sua rappresentazione.
Assistendo mio malgrado allo spettacolo inverecondo della rappresentazione mediatica del dolore (della sua rappresentazione, non certo del dolore in sé), mi sono ricordato dei giorni in cui è cambiato qualcosa in questo senso e una “nuova èra” si è inaugurata. Quel fatto lontano aveva poco a che vedere con quanto è successo questa settimana, salvo due elementi: la morte e la pubblicità del dolore.
Chi si ricorda della “tragedia di Vermicino”? Un fatto che fino ad allora sarebbe stato relegato in cronaca, un privatissimo dolore divenne pubblico. Fu allora che iniziò, in Italia, lo spettacolo del dolore. C’erano state prima, è vero, delle “prove generali” e una lunga marcia di avvicinamento, ma quello fu il debutto in grande stile. La televisione (e gli altri media appresso ad essa, ma con ben minore impatto, per difetto di immagini) inaugurò i suoi nuovi modi di comunicazione, cominciando a grondare “umanità ” da ogni artiglio. Chi si ricorda di quel fatto? Fra chi ebbe la ventura di assistere a quello scempio informativo, oltre che fattuale, chi ne conserva la memoria? la memoria, che è tutt’altro che spettacolo effimero e re-iterato, ma consapevolezza. Chi? Ripeto senza tregua la domanda, perché questo è il punto. In quei giorni presi la decisione che non avrei mai più guardato la televisione, se non per “leggerne”, con cautela e di rado, le evoluzioni. Avevo perso tutta la mia ingenuità nei suoi confronti (bella, brutta, utile, inutile, mi piace, non mi piace: il fantasma della libertà . Esattamente: il fantasma della libertà ). Non sto qui a fare storia di quel che è successo dopo: la linea era ormai tracciata.
Fare spettacolo del dolore è palesemente osceno: è il punto esposto del sistema dei media, a tutt’oggi percepibile, con un minimo di buona volontà e onestà .
Ma questo spettacolo cinico è soltanto indicatore e conseguenza di qualcos’altro, ben più grave e di più ardua messa a nudo: la mediazione dei fatti e la mediatizzazione degli individui.
Mediatizzare, secondo Paul Virilio (Lo schermo e l’oblìo, 1994), è l’opposto di comunicare. Mediatizzare un individuo, un popolo, significa privarlo dei suoi diritti immediati.
“L’imperatore Napoleone I, per esempio, mediatizzava al ritmo delle sue conquiste militari certi prìncipi ereditari, privandoli delle libertà d’azione e di decisione ma lasciando loro le apparenze di un potere che non erano più in condizioni di esercitare”.
Mediato: che non ha rapporto, che non riguarda se non indirettamente, tramite un intermediario.
Intere nazioni sono soggette a mediatizzazione, e frantumate in una moltitudine di solitudini che percepiscono i fatti solo per via mediata.
Torno ancora allo spettacolo del dolore. La rappresentazione mediatica del dolore è un passo decisivo, benché apparentemente accessorio, verso l’amnesia dei fatti. È la forma prosaica, irrituale della delega rituale del dolore, una pratica che noi mediterranei conosciamo bene; ma, a differenza delle “prèfiche” (che avevano il compito di attenuare l’impatto immediato del dolore con la spettacolarizzazione parzialmente delegata e consapevole di quest’ultimo, al fine di meglio conservare la memoria del fatto e delle persone, e il prezzo pagato per la prestazione della prèfica era l’obolo dell’oblìo: l’oblìo dell’insostenibile dolore) i mediatori televisivi, le nuove prèfiche, producono come risultato l’amnesia totale, per giunta mascherata da memoria (ancora: spettacolo effimero e fondato sulla re-iterazione), poiché la delega è totale e inconsapevole.
La televisione, al pari di altri media ormai succedanei, è figlia e madre del tempo (inteso come momento/movimento), e dal tempo è divorata, secondo il mito: “notizia mangia notizia”; e “notizia” vale “novella”, cioè “nuova”. Nel mito originario è il vecchio Crono che mangia i suoi piccoli figli. Nella attuale produzione mediatica di miti – “sostituzione mediatica degli eventi, delle idee, della storia, che fa sì che più li si scruteranno (…) più essi cesseranno di essere esistiti” (J. Baudrillard, La trasparenza del male, 1991) – è forse il vecchio che divora il nuovo, in realtà ? Esistono “notizie” vere, “novellae”, nella “civiltà dei media”? Esistono, in ultima analisi, “notizie” propriamente dette?
Televisione è dunque “tele – visione”: quanto più si pensa di esser “dentro i fatti” (una delle tante espressioni orrende ma rivelatrici, a modo loro), tanto più se ne è distanti: l’amnesia, si potrebbe dire, è istantanea al tele-vedere. L’estetizzazione della morte è infine an-estesia totale; è evidente che morte vera non può aver luogo nel piccolo mondo tele-visivo dei desideri, dei sentimenti e dei fatti mediati.
Se poi, per aggirare l’ostacolo, cerchiamo un sinonimo a tele-visione (a volte un trattino fa miracoli, non è vero?), inciampiamo nello “schermo”; ora, si ha il forte sospetto che lo schermo sia nato per “schermare”…
Così grande è la paura che si ha del dolore e della morte? Evidentemente sì.
La paura è umanissima e comprensibile; prendere per i fondelli e fare merce del dolore e della morte, no. Ditemi: vi è parso che la pubblicità televisiva sia stata sospesa, nel corso di questi giorni? O che i giornali abbiano evitato di inserire esortazioni ad essere o ad avere, e che abbiano sospeso con degnità il ringhio delle parti avverse? E durante i fatti delle due torri?, quando sentii dire da un bambino, non assuefatto, similmente a me, alla re-iterazione mediatica, disperato come me di fronte all’ennesima messa in onda della sequenza del crollo: “oh no, sono cadute di nuovo!”, e mi venne da piangere insieme a lui. La smisero di persuaderci a comprare, i pubblicitari, la smisero di insultarsi, i politici e gli esperti, e mentire gli uni e gli altri per la gola, durante uno dei tanti attentati o rappresaglie della Palestina, con lo spettacolo dei corpi dilaniati esposti come sui banchi della Vuccirìa? No.
Allora posso ripetere serenamente: la televisione fa mercato della morte e del dolore.
Eppure, parafrasando le parole di altri, ho come l’impressione che la realtà , l’irriducibile, ostinata, ottusa realtà esista ancora, al di là del virtuale e del mediato, e che ci chieda disperatamente un impegno di lettura e di scrittura, e di cuore e di anima, soprattutto: altro che mediazione. Ed ho l’impressione che ci sia molto da fare in questo senso, e che le possibilità siano ancora aperte, nonostante tutto.
E vorremmo anche vivere, per cortesia, e integralmente: integri, non scissi, immediati, lontani da qualunque integralismo: senza spargimenti di sangue né di detersivo.
Esiste ancora la scintilla dell’umanità , e questa vorremmo lasciare, anche noi, come segno del nostro passaggio.
Apprendo in questo momento che la Rai avrebbe deciso di sospendere gli spot pubblicitari nella giornata di domani, 18 novembre: alla buon’ora. Non basta, e nulla toglie a quanto è stato finora, ma è già qualcosa. Forse è un inizio.
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