v e r g o g n a_hanno brevettato il grano (e la farina)


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La multinazionale/amorale Monsanto ha depositato in Europa un’esclusiva sul frumento con cui si fa il “Chapati”, il pane indiano.
I contadini del paese asiatico accusano la Monsanto di aver “rubato” – attraverso il brevetto Ep445929 depositato a maggio allo European Patent Office – il frumento Nap Hal, con cui da secoli viene prodotto il “Chapati”, il loro croccante e gustoso pane nazionale. Sotto le insegne della Harat Krisnak Samaj (la maggiore organizzazione agricola indiana) e appoggiati dall’ecologista Vandana Shiva, da Greenpeace e da un istituto di ricerca di New Delhi, hanno fatto ricorso presentando il primo febbraio un’opposizione formale all’Ufficio brevetti europeo.

Dietro lo scontro si nasconde una svolta che può essere decisiva. La brevettazione di una specie vegetale non geneticamente modificata può infatti aprire la strada ad un fenomeno che negli Stati Uniti è già realtà: le piante normalmente usate in agricoltura possono essere brevettate e gli agricoltori sono così chiamati a pagare royalties alle grandi aziende che hanno provveduto a depositarne il diritto di proprietà intellettuale.

Secondo Greenpeace, il brevetto della Monsanto sul Nap Hal è un atto di biopirateria: “Si tratta di un vero e proprio furto ai danni dei contadini indiani – dice Christoph Then, esperto di Greenpeace per le questioni brevettuali – con la nostra opposizione chiediamo all’European Patent Office di rivedere la sua decisione. Secondo la legislazione comunitaria, non è possibile brevettare piante normalmente coltivate, ma ci sono evidentemente delle lacune nelle regole dell’Unione Europea che devono essere riviste”.

Il primo studio scientifico sulle particolarità del Nap Hal viene pubblicato nel 1998: questo frumento di colore giallo intenso è privo di alcune sequenze genomiche che ne determinano un’eccezionale capacità nei processi di panificazione.

Secondo l’associazione degli agricoltori indiani, si tratta di un processo naturale, frutto della tradizionale selezione effettuata dagli agricoltori che poco per volta hanno individuato le sementi più idonee per ottenere una farina che permette di produrre un pane molto croccante.

La Monsanto replica che invece il brevetto riguarda una specie, chiamata Galatea, sviluppata dall’Unilever: quando la multinazionale Usa nel 1998 ha rilevato la divisione cerealicola ha trovato anche queste sementi, che erano state precedentemente acquistate da una banca di geni britannica, e ha provveduto a depositarne il brevetto negli Stati Uniti, in Giappone, Canada, Australia e Unione Europea.

“Quello che raccontano queste persone è una favoletta. Non abbiamo rubato nulla a nessuno e siamo decisi a difendere i nostri brevetti in ogni sede opportuna”, dice Thomas McDermott direttore delle relazioni esterne della Monsanto Europa-Africa, “Galatea ha meno glutine delle altre varietà di frumento e questa ridotta “viscoelasticità” ne determina una minore espansione durante la panificazione. E comunque è assolutamente ridicolo ipotizzare che i coltivatori indiani debbano pagare royalties per le sementi di Nap Hal. Monsanto non intende commercializzare Galatea e ha deciso di uscire dal business del frumento in Europa”.

Ma secondo il centro di ricerche indiano, le caratteristiche descritte nel brevetto sono invece esattamente quelle che hanno fatto la fortuna del Nap Hal presso i contadini asiatici: “Nel brevetto non c’è nulla di nuovo rispetto allo stato dell’arte del frumento che noi conosciamo e usiamo da centinaia di anni. Semplicemente vengono descritte in modo dettagliate le sequenze genomiche che sono state selezionate durante le coltivazioni”.

Sviluppi futuri: Benetton brevetta il collo a V, la Fiat la ruota, Schifani la forfora, il Nano il gangbang.

recinzioni_o così o nulla

Mi invitano ad un pranzo di lavoro (ma perchè qualcuno la chiama “colazione”?, se sento odore di caffellatte dopo le 9,30 vomito). Io non mangio pesce e non so perchè già il marchio del ristorante mi fa sentire a disagio: due pesci sovapposti, uno intero, dell’altro solo la lisca.
Entriamo e capisco tutto: odore di pesce e avventori con facce da pesci lessi. Ci sediamo e dopo una buona mezzoretta ecco che abbocca il cameriere, un ominide pelato con un espressione da seppia stampata in faccia. Enuncia i piatti con una velocità ed un volume da rapper bianco cicaghese: siamo in alto mare. Arriva il momento della verità, gli dico che non mangio pesce: la seppia si trasforma in pesce palla gonfio con occhi da boccalone e tradendo lo sconcerto mi mormora “prosciutto”. E sia prosciutto, purchè il maiale abbocchi alla svelta. Macchè, un’altra mezzora per averne tre fette che faccio fuori con terragna famelicità, ma anche con francescana sopportazione. Al tavolo i miei commensali divorano con piacere una sequenza senza fine di antipasti.
Altra mezzora di attesa e lanciamo di nuovo un’esca per attirare quello sparnocchio del cameriere che va ad enunciare i primi: stessa pantomima degli antipasti e scelta forzata di “uno spaghettino al pomodoro fresco”. Al tavolo dietro di noi viene individuato un osso di bistecca spolpato: se lo devono essere portato da casa.
Altra mezzora, sono quasi le tre, e arriva lo spaghettino. Si sa le ricette più semplici sono le più difficili, ma come cazzo fai con del pomodoro, dell’olio e dell’aglio a tirare fuori un retrogusto di paranza? Non indago, deglutisco pensando che un po’ di fosforo non può che farmi benone e mi viene in mente che gli elettrodi alle palle o una cella a Guantanamo non sono poi così male.
Ordiniamo i caffè, che mi aspettavo fatti con acqua salata e mentre ce ne andiamo mi sento come la ragazza che si fa una nuotata all’inizio de “Lo squalo”, così esco per primo e trovo anche il tempo di prendere il secchio della vernice e il pennello per fare un altro crocione su un altro ristorante viareggino.

Per eleganza non cito il nome del ristorante che è “Giorgio”.

chi controlla il passato, controlla il futuro

guarda lo spot ritoccato

I grandi rivoluzionari diventano sempre i più accesi reazionari.
Mi ricordo il Super Bowl del 1984: non tanto per l’evento agonistico, il football americano mi attrae come una pizza con Bruno Vespa, quanto per il primo, storico spot Apple, quello di Ridley Scott riscritto sulla base di “1984” do Orwell.
Per celebrare i vent’anni trascorsi da quello storico evento pubblicitario, costato una fortuna e andato in onda SOLO in quell’occasione, Apple ha ripubblicato lo spot sul proprio sito (vd. link).

Solo che c’è qualcosa di strano.
Guardando con attenzione il filmato, si nota che la lanciatrice di martello indossa un oggetto che somiglia dannatamente a un Walkman, o più esattamente a un iPod.

Ma l’iPod nel 1984 non esisteva.

Incredibile lungimiranza di Steve Jobs? Le forme dell’iPod sono state ispirate da un gadget usato nello spot di vent’anni fa?
No. Apple ha fatto ritoccare digitalmente il filmato inserendovi in modo perfetto un iPod dei giorni nostri. Non si sa quale società specializzata in effetti speciali abbia eseguito il ritocco, che è assolutamente realistico. Soltanto guardando lo spot originale, tuttora reperibile in Rete, ci si può rendere conto della differenza. O dovremmo chiamarlo inganno?

La scelta di Apple di eseguire un ritocco [segreto] proprio in uno spot che allude a 1984 di George Orwell è molto più di una semplice trovata per far parlare del proprio nuovo gioiello di famiglia. Chi si è preso la briga di leggere il libro di Orwell invece di citarlo e basta sa infatti che uno degli aspetti più inquietanti del romanzo non è la sorveglianza costante di ogni cittadino, ma la sistematica cancellazione e riscrittura, da parte del governo totalitario, di ogni registrazione degli eventi (giornali, filmati, fotografie) in modo da adattarsi al meglio alla verità del leader del momento.

Nelle pagina del sito Apple dove si scarica il filmato non c’è alcun accenno al fatto che è stato modificato: chiunque lo scarichi crede quindi di avere sotto gli occhi l’originale.
Ogni altra ipotesi è bispluserrata, come si dice nell’orwelliana Neolingua. Apple ha ironicamente adottato proprio i metodi del Grande Fratello che proponeva di sconfiggere, abbracciando la famosa citazione di 1984: “Chi controlla il passato, controlla il futuro; chi controlla il presente, controlla il passato”, Silvio docet.

Megadelusione: pensavo che il male fosse tutto dalla parte delle Finestre™. 

mezzo di perda

il nano e il coccodrillo

partite da qui e seguite le istruzioni

andate su www.danieleluttazzi.it, cliccate sulla sua immagine, si aprirà un’altra pagina, cliccate sulla piccola freccia nel cerchietto rosso in basso a destra, si aprirà un’altra pagina, cliccate sul cappello, si aprirà un’altra pagina, cliccate sul primo ritratto a sinistra (“blog”) e godetevi la lettura del coccodrillo.

delirio A1_da greal [giovedi29gennaio]

ecco qualche pillola di delirio di ieri sera. niente informazioni.niente aiuto. niente di niente. solo un gran bel bianco che ci abbracciava silenziosamente come di solito la neve fa. dalla gioia alla disperazione. questa l’esperienza del manto bianco. in 7 ore capisci tante cose. pensi. ti pensi. ti ascolti.  e la solitudine concentra la sua forza nella tua mente. ti distilla lentamente. e tu ti lasci andare con la rassegnazione del silenzio. del ormai non si può fare altro. gioia.tristezza.malinconia. noia.nostalgia. e poi paura. tutto in sette interminabili ore di delirio e pace.

greal

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