ma dove andiamo quando andiamo ovunque?

ieri sera trasferta del king® per la terzultima partita di un brillantissimo campionato. Il match è in una località denominata “C a s t e l f r a n c o d i s o t t o” e, secondo alcune indiscrezioni, si troverebbe a sud delle nostre lande.
Appena la macchina si muove verso l’autostrada si accendono tre gps, plin, plin, plin e via: il mondo è nostro.
Il primo, quello del presidente, si rifiuta di collaborare, dice che ha lasciato a casa la mappa, e viene cassato tra lo sconforto incontenibile di quella vittima dei gadget tecnologici che è diventato Fabio.
La nostra fortuna è che il nostro sistema di navigazione sia ridondante e quindi anche questa grave avaria non preclude l’obiettivo prefisso: raggiungere la meta e prendere a Pallate l’odiato Fucecchio (taccio il fatto di avere anch’io il simpatico gadget nel telefonino…).

Imbocchiamo la Bretella.
A un certo punto c’è un innocuo cambio di corsia per lavori: argghhhhhhhhh. I due navigatori danno di fuori, ci segnalano sulla Sarzanese all’altezza di Maggiano e ricalcolano il percorso e quello di Michele ci consiglia di fermarsi al primo bar e bere uno spriz. Come rientriamo nella nostra carreggiata entrambi i gps ricalcolano il punto nave facendo finta di niente.
Continuiamo fino all’uscita Altopascio dove le voci sintetiche si sovrappongono: “A 100 metri girare a destra“, dice quella di Michele – “Ora gira, che si fuma“, quella di Giordano. Sotto il tetto del casello i macchinari sclerano di nuovo non riuscendo a vedere i beneamati satelliti e la situazione precipita al grido di “Sto ricalcolando il percorso” e “girare a destra appena possibile, anzi prima, no a sinistra, fate voi…“.
Giordano riesce a pagare il pedaggio inserendo nella fessura della macchinetta lo stecco di un ghiacciolo e il biglietto da visita del Galeotti e procediamo verso la meta che entrambi gli strumenti indicano a 18 chilometri.
Da qui in poi i due gps cominciano a litigare dandoci una sequenza di informazioni dissonanti, i toni fra di loro si scaldano e solo la freddezza di Jo ci porta sani e salvi di fronte alla palestra dove, di lì a poco, si sarebbe consumata l’ennesima prova di forza della corazzata king®.

Finita la pizza, riempiti gli occhi con Pocahontas, mi pregusto già un ritorno privo di vocine sintetiche, monto sul maggiolone di Ludo, quando vedo un enorme display da sette pollici che mi sorride e mi dice:
“Viareggio. Percorso calcolato, 14 minuti. La maniglia è alla sua destra”.

piccole cose che scaldano il cuore

ho parcheggiato la macchina dietro una Opel Corsa con una scritta gigante gialla sul lunotto posteriore: “Steven a bordo”.
La cosa ha una sua utilità.
Metti che ti faccia una manovra degna di ingiuria, puoi offendere qualcuno della famiglia del conducente, non coi soliti, generici, epiteti, ma dimostrando cognizione di causa: “o stronzo, vai piano, pensa a Steven”.
Altri possibili adesivi:
“quest’auto mi contiene”
“se fosse per me terrei la sinistra”

c’è chi ne ha fatto un business 

da ofp > recinzioni_tool “10.000 days”


Ieri mi aggiravo fra gli scaffali della Ricordi di Firenze in cerca di ispirazione per comprare un cd. Sentito il Red Hot e addormentato al quinto pezzo (anche se ammetto che a confronto di By the way è un passone avanti). Tentenno di fronte al nuovo dei Pearl Jam. Bel tiro. Grezzo e puro ma… E’ dai tempi di Vitalogy che non mi entusiasmo più. Cazzeggio senza soluzione finchè la retina registra l’immagine del nuovo dei Tool. Ecco ciò che ci vuole! Roba pesa.
Dopo un periodo di sbrodolamento per il lounge, di electro dance, ho voglia di tempi dispari. Coi Tool sei sicuro: trovi pane secco per le tue zanne.
Il digipack è già nelle enciclopedie delle migliori copertine dei dischi di ogni tempo. In pratica ci sono due lenti che permettono la visione stereoscopica delle immagini del libretto. La stereoscopia è quella tecnica di stampa che fa apparire tridimensionali le foto. Tutto l’art direction è come al solito opera del chitarrista Adam Jones. Indi per cui, alchimia, psichedelia e simbologia arcana a secchiate. Ma mi va bene. Ho voglia di avventurarmi in questo labirinto.
Dopo tutta questa menata sul art work del cd che dire della musica?
Dico solo questo: Piazzate la 5. Si chiama “The Pot”.C’è tutto dentro.
E’ la pietra filosofale. E’ la tavola smeragdina. Ermete Trismegisto… Ma soprattutto è la quintessenza del ROCK. Bello tosto. Michele ci sbaverà sopra di sicuro.
Ascoltate Rosetta Stoned e ditemi che se non vi disinnesca la sinusite cronica. Oppure la magia di Right In Two.
Al terzo ascolto di “10.000 days” mi perdo…
Mi ritrovo con gli occhialini stereoscopici a guardare immagini tridimensionali di cerchi di fuoco. Mi ritrovo alla villa di Careggi…
Faccio parte dell’Accademia Platonica.
Risplendo.
Quando ecco che, Pico della Mirandola, seduto accanto a me mi fa:
” Che cazzo mi significhi te in questo consesso?”.
Gli alzo distrattamente il dito medio in faccia, mentre guardo beffardo Marsilio Ficino.
“Long live Rock and Roll”, gli dico.
Lorenzo il Magnifico, solleva gli occhi dal Corpus Ermeticum e mi fa:
“Hell, yeah!”

Enorme. Difficile. Estenuante. Bellissimo disco.

ofp

pensieri sparsi

hanno eletto un presidente della repubblica nuovo, ma vecchio, anche se il suo cognome e il suo curriculum mi fanno stare bene.
Bene perché la persona mi piace,
bene perché non è un altro (che se vinceva il palo delle pubertà poteva essere peggio, un vecchio col lifting, tipo Letta),
bene perché è di Napoli,
bene perché possono dire che è un comunista, che è meglio che fascista,
bene perché alla proclamazione del nuovo presidente quasi tutti hanno applaudito e quelli che non lo hanno fatto hanno dimostrato la forza primordiale che li anima: il livore. Alcuni inquadrati al telefonino, meriterebbero la radiazione immediata dal parlamento (se mi devi rappresentare DEVI stare attento, pallino, sennò ti licenzio),
bene perché quel livore li distrugge come il potere li fertilizzava.
Se in Italia si riesce a finalmente mettere in discussione berlusconismo e calcio allora vuol dire che la strada verso la civilizzazione è intrapresa.
Inboccallupo.

conservatore o rivoluzionario?

sono affascinato dalla punteggiatura e l’ho sempre usata in abbondanza e spesso in maniera barocca per farcire le parole che utilizzavo. In fondo sono pochi segni, elementari come i tempi e le modalità di lettura che dettano, ma, da subito, c’era un qualcosa che sfuggiva a qualsiasi tentativo di razionalizzazione, di irregimentazione nel suo uso: il punto e virgola. Dove non mi piaceva l’assolutezza del punto e non mi soddisfaceva la debolezza della virgola, ecco che lì spuntava quel codicillo morse che ti dice, fermati solo un attimo che continuo a dirti ‘sta cosa. Ne ho piazzati tantissimi nei temi del liceo senza cognizione di causa tanto da rendere abitudine una regola che non ho mai assorbito. Fino ad oggi, quando tutti i dubbi mai esposti su questo incrocio imbastardito sono riafforati.
“Fred si interrogava sui misteri del punto e virgola.
Il punto, d’accordo, la virgola d’accordo, ma il punto e virgola? Come poteva, una frase, concludersi e proseguire al tempo stesso? Qualcosa in lui bloccava la rappresentazione di una fine continuata, o di una continuità interrotta, o il contrario, o qualcosa fra le due, vattelappesca. Cosa poteva, nella vita, corrispondere a quello schema? Una sorda angoscia della morte mescolata alla tentazione metafisica? Cos’altro?”

Tonino Benacquista, “Malavita

La definizione che ne da’ l’Accademia della Crusca non rende più oggettiva la scelta di ‘sto coso…

“Il punto e virgola (punto acuto, punto coma) segnala una pausa intermedia tra il punto e la virgola e il suo uso spesso dipende da una scelta stilistica personale. Si adopera soprattutto fra proposizioni coordinate complesse e fra enumerazioni complesse e serve a indicare un’interruzione sul piano formale ma non sul piano dei contenuti
(«il capo gli si intorbidò di stanchezza, di sonno; e rimise la decisione all’indomani mattina», A. Fogazzaro, Piccolo mondo moderno).”

altre vittime della macchina per fare le risate

uno dei due è un noto poeta

apro lo sportello e l’odore buono di campagna entra in macchina prima ancora che io scenda.
L’edificio è un salto indietro agli anni ’70, tutto anodizzato giallo, mobili da ufficio in metallo grigio Olivetti e pavimenti in travertino: con qualche tappeto in cavallino sparso qua e là un redattore di “Wallpaper” andrebbe in calore. Davanti a me, solitari, tre trofei in ottone datati 1990 mi guardano disillusi da una mensolina in vetro mentre faccio anticamera in una saletta torrida che guarda le splendide colline attorno.
Alle pareti, foto stinte.

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