da alma_”peto”

don’t know whether in jap they mean peto as “baby-cat/dog/otheranimal” or “air/gas release from asshole“. have to check.

papà mi si è ristretta la casa

arrivando in studio in scooter mi sono trovato dietro ad un Mercedes classe M (un suv extralarge) su una via a senso unico con macchine parcheggiate sui due lati. Il tank nero davanti a me sfrecciava lungo la bisettrice della strada mantenendosi miracolosamente ad una distanza di 6 cm dagli oggetti che occupavano i due lati della carreggiata (specchietti, fiancate, uno scooter, il gomito sinistro di un pedone). Io mi sono accodato per un kilometro respirando a fondo l’aroma delle nove sgassate che ha prodotto dopo ogni sosta per uno stop. Stregato dalle dimensioni di questo aggeggio mi è saltato in mente che negli ultimi anni le vetture sono cresciute a dismisura, come sotto l’effetto di un ormone della crescita che tutti sembrano voler ingurgitare, mentre le case si sono contratte, ristrette, come seccate. Negli anni ’50/’60 un appartamento di edilizia popolare per una famiglia non era meno di 80/90 metri quadri, adesso la stessa metratura è diventata un lusso.

Non so, ma case più piccole e auto più grandi mi sembra uno specchio dei tempi abbastanza nitido.
Una cosa da raccontare fra un po’ alle figlie per fargli capire un’epoca.

da alma_tokyo ore 24

dalla finestra del suo hotel alma guarda dall’alto in basso la sua città.
Fra lui e Tokyo 32 piani e un bel jetlag.

Come si dice buonanotte in jap?

il fascino della ridetta

ieri mi è toccato intravedere il momento più importante del campionato del mondo di MotoGP in un riquadrino sfuocato da 4 pollici perché il resto del televisore mi tentava di distrarmi dicendo che devo bere Tim , profumarmi di Seat, muovermi su una Armani e telefonare con Gatorade.

Hai voglia poi a dare i replay diciassette volte, riproporre inquadrature larghe e primi piani, ma quel momento, proprio quello, in diretta, me l’avete rovinato per sempre.

la mierda vuelve_piccole gratificazioni

alla fine dello scorso anno io e ofp partecipiamo con un avatar battezzato “Annalena Santercoli” ad un concorso indetto dallo IED (Istituto Europeo di Design) sul tema “Chi lo fa lo aspetti”- Riflessioni grafiche sullo stivale, veniamo selezionati ed esposti a giugno a Barcellona.

Oggi mi è arrivato il catalogo: c’è della freschezza, ma anche immagini stereotipate tipo appunto stivali, pastasciutta e tazzine di caffè. Sopratutto ci sono la biografia dell’autrice e un’introduzione al lavoro scritte da ofp.

Annalena Santercoli d’Antignano,
vive accampata in una casa semidiroccata a Borgolucente, una sperduta frazione sulle Alpi Apuane, da cui nelle giornate di forte tramontana si vede la Corsica e si sognano le Baleari.
Di età imprecisata fra i 20 e i 50 anni.
Deve la sua vita naif a un vecchio motore diesel riadattato a generatore, e a suo nonno che gli ha insegnato ad ascoltare il grido della primavera (e grazie al quale, diversi anni orsono, ha realizzato una bella cinquina sulla ruota di Venezia).

Del premio IED, non gliene può fregà di meno.
“Vuoi mettere un pomeriggio passato a misurare il perimetro dei sassi, invece che indossare
pantaloni coi tasconi in Corso Buenos Aires?”
Dice.

“Certo, cazzo… Barcellona… diobonino…”
Aggiunge,
guardando oltre la Corsica.

“Chi lo fa, quando meno se lo aspetta…”

Aglio. Cipolla. Peperoni. Porri. Melanzane.
Sono molte le cose che volenti o no, recano seco il contrappasso dello sgradito ritorno.
Ma se c’è una cosa che oblitera ( oblitera, oblitarae, obliterarum ) in automatico il biglietto A/R, è la cara, vecchia, Merda.
Altro che “cavallina, cavallina storna”…
Tutti ci siamo cimentati nella nobile arte del buttar merda controvento.
E come d’uopo, tutti ci siamo chinati a raccoglier tempesta.
Eppure, secoli di evoluzionismo non ci hanno insegnato niente.
Darwin dal folto della sua barba, ci fa un baffo.
In Italia specialmente, continuiamo nel cimento ardito.
Sperando, poveri illusi, che i boomerang di Merda che scagliamo, per una volta non ci sorprenderanno alle spalle.
I boomerang fatti di Amore. Quelli sì che non funzionavano. Quelli non tornavano mai indietro.
Bellissima roba; boomerang a perdere. A cui non avevi niente da chiedere. Solo da lanciare.
Perfetti.
Ma chi li tira più?

da massimo k_a proposito di undici

A proposito di 9/11 c’e’ ancora molto da sapere…
Chi non l’avesse ancora visto dovrebbe cercare il dvd “911 – Loose Change – (second edition)” di Dylan Avery.
Chi invece volesse soffermarsi a valutare una serie di agghiaccianti “casualità“, continui a leggere:

1) New York City ha 11 lettere.

2) Afghanistan ha 11 lettere.

3) Ramsin Yuseb (il terrorista che minacciò di distruggere le Torri gemelle nel 1993) ha 11 lettere.

4) George W Bush ha 11 lettere.

5) Le due torri gemelle formano un 11.

Questa può essere un pura coincidenza, ma ora si fa più interessante.

6) New York è l’11° stato americano.

7) Il primo aereo schiantatosi contro le torri gemelle era il volo n° 11.

8) Il volo n°11 portava 92 passeggeri: 9+2=11.

9) Il volo 77, che si schiantò anche contro le torri, portava 65 passeggeri: 6+5=11.

10) La tragedia si verificò l’11 settembre, o 9/11 (data americana) come lo si conosce ora.

11) La data è uguale al numero dell’emergenza americano 911: 9+1+1=11.

Coincidenza, forse sì, ma continua a leggere e fatti la tua idea.

12) Il totale del numero delle vittime negli aerei dirottati era 254: 2+5+4=11.

13) L’11 settembre è il giorno N° 254 nel calendario dell’anno: 2+5+4=11. Di nuovo…

14) L’attentato di Madrid accadde l’11/03/2004: 1+1+3+2+4=11.

15) La tragedia di Madrid accadde 911 giorni dopo quella delle torri gemelle.
Qui che le cose si fanno parecchio misteriose: Il simbolo più riconosciuto per gli USA, dopo le Stelle&Strisce, è l’Aquila.
Il versetto seguente è preso dal Corano.

“Perchè è scritto che un figlio d’Arabia sveglierà una terribile Aquila.
La collera dell’Aquila si sentirà attraverso le terre di Allah, mentre alcune persone tremarono disperate ancora più allietate: perchè la collera dell’Aquila ripulì le terre di Allah e ci fu pace.”

Non è tanto per quello che c’e’ scritto, ma questo era il verso N° 9/11 del Corano.
Non sei ancora convinto? Prova questo:

Apri Microsoft Word
Scrivi in stampatello: Q33 NY.
E’ il numero del primo volo schiantatosi contro le torri gemelle
Evidenzia il Q33 NY
Cambia la dimensione del carattere in una abbastanza grande (48-60)
Cambia l’attuale carattere in WINGDINGS 1 (che è un font composto da simboli grafici)
Che ne dici?
Se non ti va di fare la prova (o se non hai quel font) guarda qua sotto l’immagine che ne deriva.

luna park Tate

entri in San Pietro, che tu ci creda o no, ti senti una cacchetta. Lo sapevano già da secoli e la religione come altre dittature ha plasmato intere generazioni di fedeltà attraverso la vastità delle architetture. Se sei ateo la stessa mistica sensazione di annullamento di fronte al grande la vivi anche dentro un hangar, al Colosseo, in uno stadio. La cosa sembra funzionare al rovescio: da fuori sono solo cose grosse, una massa di costruito enorme e percepisci solo sostanza. Quando ti addentri nel ventre di questi pachidermi è lì che ti spaventi perché è lì che percepisci il peso insopportabile del vuoto che hanno creato, tu da fuori la potevi solo intuire quella sensazione, ma dentro ti toglie il respiro.


A Londra, lungo il Tamigi, in centro, c’è una roba così. Prima era una centrale elettrica poi è diventata la tate Modern, una gallery (gli inglesi la chiamano così, ma in italiano suona piccolo) di arte Moderna e continua a produrre energia. L’entrata di questo blocco enorme è una cosa normale, niente di che, ma fai tre passi e ti trovi in una hall immensa (per intendersi un parallelepipedo lungo un paio di centinaia di metri per una sessantina di larghezza e una trentina di altezza. Questo spazio si chiama “Turbine Hall” ed era, appunto, la sala delle turbine della centrale. Adesso ci piazzano ciclicamente delle megainstallazioni: quella attuale è la settima, è di un artista che si chiama Carsten Höller e riempie questo grande spazio vuoto con una serie di grandi tubi in acciaio e plexiglas che formano una struttura di scivoli che va dai livelli più alti della Tate fino al livello della hall.

Non l’ho vista di persona ma immagino che non si debba per forza sperimentare la caduta all’interno di quegli scivoli per apprezzare comunque la forza di una roba così. Ma buttarsi aiuta a capire le intenzioni dell’artista? Secondo lui sì, infatti ho letto che ciò che gli interessa è sia lo spettacolo visivo del vedere le persone scivolare giù nello “stato di simultaneo piacere e ansia che si prova nel buttarsi”.
Perché relegare questa alchimia all’età della fanciullezza?
Perché non introdurre lo scivolo come elemento dell’architettura contemporanea?
Tante città e tante persone ne guadagnerebbero.

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