electric Babel

La sera torniamo e vedo quattro prese della casa occupate da altrettanti trasformatori come rampicanti che escono dal muro.

Solo quando mi sposto mi accorgo quanta tecnologia stia dietro quest’era caratterizzata da un ossessiva volontà di costante reperibilità, video sharing e social networking, ma ancor più quale massa di devices ne supporti la vita: i due cellulari coi loro caricabatterie, le macchine fotografiche coi loro caricabatterie, il computer col suo alimentatore, il card reader usb per le schede della macchina fotografica, l’iPod col suo cavetto usb e le cuffie, la telecamera col suo caricabatterie, il gioco elettronico delle figlie col suo caricabatterie e, a corredo di tutta questa centrale elettrica, un chilometro di cavi.

Ah, siccome sono in Inghilterra per far funzionare tutto ‘sto ambardan servono anche gli adattatori per la presa elettrica.
Qualche chilo di roba per spostare due elettroni.

UPDATE: grazie al cielo (anzi all’aria) nel 2050 non ci saranno più questi problemi (cfr.)

Lond_on

qualche ora alla Tate Modern ti regala una piacevole confusione in testa e dei piedi gonfissimi.
Il museo si apre all’esterno e la parete sul Tamigi diventa totalmente dedicata all’esposizione “Street art“, con sei megaopere che si sviluppano per tutta l’altezza dell’edificio (quella di blue è quella che mi piace di più).
Ho visto finalmente dal vivo delle opere di Anselm Kiefer, gigantesche e ancor più espressive che in foto;


una sala dedicata a Francis Bacon (fra qualche mese qua inizia una megamostra dedicata a lui) con tre ritratti tanto inquietanti quanto emozionanti;

un caffè più che decente con una vista spettacolare: tre sensi appagati con un paio di sterline

l’installazione “Thirty pieces of silver” costruita con 25 gruppi circolari di 30 oggetti in argento ciascuno appiattiti e sospesi ad un palmo da terra

Per dimostrare una superiorità che non si limita allo sport, la sera, sulla BBC (!!) il concerto di Serj Tankian al Festival di Reading.

cutting the grass as a form of art

avanti e indietro
sulla tela verde
di fronte alla Tate Modern
anche il giardiniere
realizza un’opera d’arte

anglozoismi

[sull’aereo, in volo]

“daddy, ma quando si decolla?”
“Siamo già decollati, Zoe”
“No, voglio dire… quando si decolla giù?”

_____________________________________

[as told by Jane]

Zoe: “sai mummy che io sogno?”
Jane: “certo”
Z.: “ho sognato che te, daddy e Cookie (il gatto) vi sposavate…”
J.: “anche Cookie???”
Z.: “nooo, lui sposava una gattina”

_____________________________________

“lo sai daddy che quando io ho fame non mangio, vado a dormire e faccio sempre un sogno che mangio così quando mi sveglio non ho più fame?”

zoismi_la pelle d’oca

in bici la zoe mi dice “daddy c’ho la pelle d’oca”
perché? Hai freddo?”
“un pochino…”
“e come ti viene anche la pelle d’oca?”
“mi viene quando mi fai piopio (il solletico sfiorandola sotto le ascelle)”
glielo faccio, lei si gira e mi dice, arrabbiata:
“basta, così mi fai venire più oca!”

erbaccia di ferragosto

sempre più piegata sotto il proprio peso l’erbaccia gigante sfoggia ancora una forma olimpica mentre fuori dalla sua corte continuano a succedere strane cose tipo guerre e il caffè di Romano Battaglia.

(grande la nuova uscita della Guzzanti sulla Carfagna)

il genio italico

mi chiedo chi abbia disegnato il logo che campeggia minaccioso sull’abbigliamento degli atleti italiani a queste olimpiadi. Rigido, elementare, inelegante, disarmonico, illeggibile e poco evocativo, o meglio, malamente evocativo: frecce, punte, lance… più che l’Italia sembra il logo di una band di death metal fiamminga, ma almeno lì era contestualizzato.

← Previous PageNext Page →