mirakel
Posted on febbraio 18, 2011
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Mi è mancata una vite in un mobile Ikea.
Chiamala materializzazione dell’impossibile, concretizzazione dell’inaspettato, sorpresa delle sorprese, il tutto condensato in un moccolo a mezza voce.
La cerco, perché Ikea fa sì che tu non possa concepire un evento del genere, tipo i computer che fanno quel che gli dici e se sbagliano la colpa è tua, Ikea è uno strumento nelle tue mani, se qualcosa va storto è colpa tua, lei ti impacchetta la certezza e ti ci mette pure le istruzioni, scritte nella sua non-lingua fatta di omini stile Cavandoli. Quello che ti chiede è semplice fede (“vedrai tutto prenderà la forma giusta e anche se ora vedi solo delle lastre di un volgare truciolare se mi segui si trasformerà davanti a te in quello splendido letto dal nome pieno di consonanti”), un cacciavite e due mani. Basta.
Guardo dappertutto, è una vite a brugola, grossa, nera, lunga, che si stringe con la solita chiavetta fornita, una vite che doveva stare nel sacchetto con le sue compagne, ma non c’è, e il letto è lì, che aspetta di essere finito, un controsenso in pino, quando cominci a montare qualcosa di Ikea devi finirlo, il manuale va applicato senza interruzioni, è come interrompere un rosario, non la concepisci ‘sta cosa e l’effetto è, appunto, pura sorpresa.
Un mobile Ikea non finito ti lascia qualcosa dentro che sta a da qualche parte fra il fallimento personale e un cratere di meteorite. Un amico ti consiglia di andare in ferramenta, “tante volte c’avessero qualcosa di simile”, ma la trovo una soluzione blasfema, un mobile Ikea alla fine è fatto di una sostanza purissima che non tollera trapianti, non ci sono alternative ad un sicuro rigetto e allora la pratica ti suggerisce di fare un pellegrinaggio di una novantina di chilometri, entrare nella chiesa di Ikea e chiedere quella vite lì, che tanto ricordi che c’hanno un reparto resi e assistenza con una parete ricoperta di cassettini trasparenti pieni di vitine e SAI che lì, in quell’arca di Noè, ci sono tutte le forme di vita ferramentosa del cataloghi presenti e passati e per non sbagliare ti porti dietro il manualetto dove c’è il disegno e il codice della grande assente, ma l’addetta in gialloblu ti anticipa facendoti vedere il pdf delle istruzioni, zoommando sulla vite e chiedendoti tipo riconoscimento al commissariato: “è lei?”. Alla tua risposta affermativa la sacerdotessa si muove di qualche passo e si avvicina alla parete dei cassettini e comincia a cercarla alternando la ricerca fra la lettura dei codici che contrassegnano ogni scomparto e lo sguardo attraverso la trasparenza dei piccoli loculi.
Non c’è.
No, non c’è.
Un altro breve rallentamento della rotazione terrestre, niente di grave, solo una piccola sfollata.
Mi guarda, vede che precipito e allunga una mano:
“Gliela spediamo”.
Lascio l’indirizzo, è una cosa strana la delusione che mi si irradia dentro e nemmeno la prospettiva di riempirmi come al solito le tasche di piccoli lapis appuntiti riesce a restituire la logica a una maestosa serie di eventi contronatura per cui traccio meccanicamente il solito percorso all’interno di un dejà-vu, ma senza l’abituale piacere della visita: scala, tornello, divani, divani letti, poltrone, mobili tv, tavolini da fumo, librerie, tavoli, cucine, guardaroba, camera, bambini, e nemmeno il ristorante con vista sull’aeroporto di Peretola che di solito riesce a farti sentire l’eccitazione di un viaggiatore prima dell’imbarco riesce a restituirmi leggerezza, mi sento come quando devo andare ad una messa dove tutti seguono il rito e io no, anche se mi ricordo a memoria ogni passo, parola per parola, ma non muovo un muscolo, al massimo mi alzo e mi siedo al ritmo dei fedeli che mi imbarazzano quando mi porgono la mano per scambiare un segno di pace. No, via, già è una cosa contronatura che manchi la vite nel sacchettino, ma se poi non la trovano nel tempio allora a vacillare è tutto il sistema.
Quello della spedizione a casa è uno scenario inconcepibile per me nel sistema Ikea e di conseguenza non sto nemmeno a pensare quando mi arriverà quella vite, è venerdi pomeriggio.
Mercoledi mattina stringo tra le mani una busta gialla con gli adesivi della dogana e un affrancatura svedese e sono pronto a celebrare la resurrezione di Fjellse, il letto più cheap della religione Ikea.
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3 Responses to “mirakel”
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ma anche questi andranno a IKEA per arredare l’ufficio?
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/02/24/nazi-affittopoli-amilano-c%E2%80%99e-anche/93684/
in caso positivo, immaginati come si incazzano se gli manca una brugola!
magari son anche morosi, con quel che (non) pagano…