helvetica>un film per un font
Posted on marzo 11, 2007
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Una volta c’erano i trasferibili, gli R41 perlopiù perché i Letraset costavano una fortuna, in cui la varietà di caratteri disponibili era limitatissima e la cui difficile applicazione facilitava il passaggio all’ateismo.
La faceva da padrone un font dal nome antipatico che ti ritrovavi cucinato in tutte le razze possibili, dal plain all’italic, dal bold al condensed, compressed ed extended: l’Helvetica. Per anni mi sono chiesto come mai non venisse meno quel trionfo di (apparente) banalità . Dal trasferibile al computer ho continuato a detestarne la testardaggine con cui non tramontava, ma lui, grazie alla svizzera costanza ha avuto la meglio: oggi spesso parto da un’idea di lettering cercandolo nel menu font per poi trovarmi a sforzarmi di non usarlo solo per un pregiudizio di troppa facilità stilistica. Quello che scambiavo per banalità era rigore, coerenza e un comportamento mai sopra le righe. Una neutralità mai così densa di significato, una vera prova di carattere. Un font perfetto per la maggiorparte delle occasioni che viene proprio dalla terra del Victorinox, il coltellino multiuso svizzero.
L’esperienza personale mi serve solo a dire che siamo di fronte ad un fuoriclasse e come tale va celebrato, in questo caso con un film.
“Helvetica” è un documentario che celebra la tipografia, il disegno grafico e la cultura visiva in genere. Guarda alla proliferazione di un carattere (che sta celebrando il suo cinquantesimo compleanno quest’anno) come parte di più grande riflessione circa il modo con cui, consapevolmente o no, ha toccato e continuerà a toccare le nostre vite.
La pellicola è un’esplorazione degli spazi urbani di alcune grandi città alla ricerca di questo carattere che le abita in gran quantità inframezzate a conversazioni con famosi graphic designer sul loro lavoro, il processo creativo e l’estetica che sta dietro il loro uso dell’helvetica (da Erik Spiekermann a Massimo Vignelli, da Neville Brody a Stefan Sagmeister, da David Carson a Tobias Frere-Jones).
Uno sguardo più profondo all’universo di parole che ci circonda: io a Berlino vedo in Meta, a Londra in Helvetica.
Aspetto in gloria il dvd.
Da parte mia le scuse gliele ho già fatte ed è ormai un po’ di tempo siamo ottimi amici.
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