via la calza_per tirarsi su

G E N I A L E.
In un periodo di tensione sociale altissima, di crisi politica, di tracolli economici e di ventate di incostituzionalità, il bad dwarf indica nuovamente la via.
I pensieri sono tanti, le rughe si accumulano, niente di meglio che migliorare l’estetica per distrarre un elettorato che, fra pochi mesi, si berrà beatamente litri e litri di belle immagini del lider minimo che ha già acquistato tutti gli spazi di affissione possibili e no sul territorio nazionale.
Dopo il presidente operaio, il presidente operato.

007 ( più o meno il valore delle azioni)

rai ot

Domenica sera intorno a mezzanotte scrivo a Michele il
seguente sms:
“Stai guardando la prima e ultima puntata di Raiot?”
Il giorno dopo, il pulviscolo del polverone è in aria.
La Sabi nel suo delirio aveva attaccato a testa bassa la paranoia della situazione del folklore italiano. ( folklore; non è possibile chiamare politica questa roba attuale ). La censura scatta automatica.
Il programma viene “sospeso”. Ora, se c’è una cosa che è sicura è che la Guzzanti, per’altro anche lei agghindata da samurai, abbia voluto fare harakiri di proposito. Non c’è molto da aggiungere a quanto detto da lei in Raiot. Se l’avete vista bene, altrimenti non crediate di vederla in replica o al tg2 ( mammamia! lo avete visto stasera??? skifoooooooooo! ) Se c’è una cosa che invidio agli americani è l’incredibile libertà di parola di cui godono. Un solo esempio: Michael Moore alla notte degli oscar. Alza la statuetta con una mano e con l’altra alza un ondata di merda sull’amministrazione Bush da impallidire. Ve l’immaginata una cosa del genere in Italia? Magari al premio David di Donatello? Moore ha smerdato Bush in momdovisione e lo sapete che fine ha fatto? Ve lo dico io: Il nuovo film-documentario sull’usurpatore della Casa Bianca, come lo chiama lui, viene prodotto dalla Disney!
Pazzesco! Come se adesso Giorgio Gori producesse il nuovo spettacolo della Guzzanti. Francamente mi spiace che la Guzzanti abbia voluto
suicidarsi. Nell’ imitazione della Palombelli e della Annunziata era magistrale. Concordo con quanto scritto da Messina ( o Dipollina? Non ricordo ) su Repubblica: Questo bignami della deriva repubblicana se lo poteva risparmiare. E noi avremmo avuto qualcosa di valido da
vedere nelle prossime settimane. Personalmente sul mio schermo adesso scorrono le immagini dell’epilogo dell’Isola dei Famosi. Molto Morettiano isn’it?

ofp

dolore telecomandato 2

A completamento di quanto scritto ieri, di Fabrizio M. Rossi

Non voglio parlare del fatto in sé, sul quale desidero ora fortemente la dignità del silenzio, ma della sua rappresentazione.

Assistendo mio malgrado allo spettacolo inverecondo della rappresentazione mediatica del dolore (della sua rappresentazione, non certo del dolore in sé), mi sono ricordato dei giorni in cui è cambiato qualcosa in questo senso e una “nuova èra” si è inaugurata. Quel fatto lontano aveva poco a che vedere con quanto è successo questa settimana, salvo due elementi: la morte e la pubblicità del dolore.

Chi si ricorda della “tragedia di Vermicino”? Un fatto che fino ad allora sarebbe stato relegato in cronaca, un privatissimo dolore divenne pubblico. Fu allora che iniziò, in Italia, lo spettacolo del dolore. C’erano state prima, è vero, delle “prove generali” e una lunga marcia di avvicinamento, ma quello fu il debutto in grande stile. La televisione (e gli altri media appresso ad essa, ma con ben minore impatto, per difetto di immagini) inaugurò i suoi nuovi modi di comunicazione, cominciando a grondare “umanità” da ogni artiglio. Chi si ricorda di quel fatto? Fra chi ebbe la ventura di assistere a quello scempio informativo, oltre che fattuale, chi ne conserva la memoria? la memoria, che è tutt’altro che spettacolo effimero e re-iterato, ma consapevolezza. Chi? Ripeto senza tregua la domanda, perché questo è il punto. In quei giorni presi la decisione che non avrei mai più guardato la televisione, se non per “leggerne”, con cautela e di rado, le evoluzioni. Avevo perso tutta la mia ingenuità nei suoi confronti (bella, brutta, utile, inutile, mi piace, non mi piace: il fantasma della libertà. Esattamente: il fantasma della libertà). Non sto qui a fare storia di quel che è successo dopo: la linea era ormai tracciata.

Fare spettacolo del dolore è palesemente osceno: è il punto esposto del sistema dei media, a tutt’oggi percepibile, con un minimo di buona volontà e onestà.
Ma questo spettacolo cinico è soltanto indicatore e conseguenza di qualcos’altro, ben più grave e di più ardua messa a nudo: la mediazione dei fatti e la mediatizzazione degli individui.

Mediatizzare, secondo Paul Virilio (Lo schermo e l’oblìo, 1994), è l’opposto di comunicare. Mediatizzare un individuo, un popolo, significa privarlo dei suoi diritti immediati.
“L’imperatore Napoleone I, per esempio, mediatizzava al ritmo delle sue conquiste militari certi prìncipi ereditari, privandoli delle libertà d’azione e di decisione ma lasciando loro le apparenze di un potere che non erano più in condizioni di esercitare”.
Mediato: che non ha rapporto, che non riguarda se non indirettamente, tramite un intermediario.
Intere nazioni sono soggette a mediatizzazione, e frantumate in una moltitudine di solitudini che percepiscono i fatti solo per via mediata.

Torno ancora allo spettacolo del dolore. La rappresentazione mediatica del dolore è un passo decisivo, benché apparentemente accessorio, verso l’amnesia dei fatti. È la forma prosaica, irrituale della delega rituale del dolore, una pratica che noi mediterranei conosciamo bene; ma, a differenza delle “prèfiche” (che avevano il compito di attenuare l’impatto immediato del dolore con la spettacolarizzazione parzialmente delegata e consapevole di quest’ultimo, al fine di meglio conservare la memoria del fatto e delle persone, e il prezzo pagato per la prestazione della prèfica era l’obolo dell’oblìo: l’oblìo dell’insostenibile dolore) i mediatori televisivi, le nuove prèfiche, producono come risultato l’amnesia totale, per giunta mascherata da memoria (ancora: spettacolo effimero e fondato sulla re-iterazione), poiché la delega è totale e inconsapevole.

La televisione, al pari di altri media ormai succedanei, è figlia e madre del tempo (inteso come momento/movimento), e dal tempo è divorata, secondo il mito: “notizia mangia notizia”; e “notizia” vale “novella”, cioè “nuova”. Nel mito originario è il vecchio Crono che mangia i suoi piccoli figli. Nella attuale produzione mediatica di miti – “sostituzione mediatica degli eventi, delle idee, della storia, che fa sì che più li si scruteranno (…) più essi cesseranno di essere esistiti” (J. Baudrillard, La trasparenza del male, 1991) – è forse il vecchio che divora il nuovo, in realtà? Esistono “notizie” vere, “novellae”, nella “civiltà dei media”? Esistono, in ultima analisi, “notizie” propriamente dette?

Televisione è dunque “tele – visione”: quanto più si pensa di esser “dentro i fatti” (una delle tante espressioni orrende ma rivelatrici, a modo loro), tanto più se ne è distanti: l’amnesia, si potrebbe dire, è istantanea al tele-vedere. L’estetizzazione della morte è infine an-estesia totale; è evidente che morte vera non può aver luogo nel piccolo mondo tele-visivo dei desideri, dei sentimenti e dei fatti mediati.
Se poi, per aggirare l’ostacolo, cerchiamo un sinonimo a tele-visione (a volte un trattino fa miracoli, non è vero?), inciampiamo nello “schermo”; ora, si ha il forte sospetto che lo schermo sia nato per “schermare”…

Così grande è la paura che si ha del dolore e della morte? Evidentemente sì.

La paura è umanissima e comprensibile; prendere per i fondelli e fare merce del dolore e della morte, no. Ditemi: vi è parso che la pubblicità televisiva sia stata sospesa, nel corso di questi giorni? O che i giornali abbiano evitato di inserire esortazioni ad essere o ad avere, e che abbiano sospeso con degnità il ringhio delle parti avverse? E durante i fatti delle due torri?, quando sentii dire da un bambino, non assuefatto, similmente a me, alla re-iterazione mediatica, disperato come me di fronte all’ennesima messa in onda della sequenza del crollo: “oh no, sono cadute di nuovo!”, e mi venne da piangere insieme a lui. La smisero di persuaderci a comprare, i pubblicitari, la smisero di insultarsi, i politici e gli esperti, e mentire gli uni e gli altri per la gola, durante uno dei tanti attentati o rappresaglie della Palestina, con lo spettacolo dei corpi dilaniati esposti come sui banchi della Vuccirìa? No.
Allora posso ripetere serenamente: la televisione fa mercato della morte e del dolore.

Eppure, parafrasando le parole di altri, ho come l’impressione che la realtà, l’irriducibile, ostinata, ottusa realtà esista ancora, al di là del virtuale e del mediato, e che ci chieda disperatamente un impegno di lettura e di scrittura, e di cuore e di anima, soprattutto: altro che mediazione. Ed ho l’impressione che ci sia molto da fare in questo senso, e che le possibilità siano ancora aperte, nonostante tutto.

E vorremmo anche vivere, per cortesia, e integralmente: integri, non scissi, immediati, lontani da qualunque integralismo: senza spargimenti di sangue né di detersivo.
Esiste ancora la scintilla dell’umanità, e questa vorremmo lasciare, anche noi, come segno del nostro passaggio.

Apprendo in questo momento che la Rai avrebbe deciso di sospendere gli spot pubblicitari nella giornata di domani, 18 novembre: alla buon’ora. Non basta, e nulla toglie a quanto è stato finora, ma è già qualcosa. Forse è un inizio.

un software divino_il vero open source

scaricalo, ora!

Basta coi problemi di coscienza, i tormenti di una vita. In cinque minuti sradica le tue convinzioni, resetta i tuoi dubbi e formatta la tua esistenza verso le sponde che più ti attirano. In fin dei conti, con l’aria che tira, un passaggio ad Allah vale più di un’assicurazione sulla vita. Il meraviglioso packaging contiene anche un “Prega Italia” che si raccomanda per rampanti agnostici con doppio sedimento di pelo sullo stomaco.
Nel mio piccolo, almeno in questo campo, preferisco rimanere analogico.

le cifre di una guerra (per una volta non soldi)

il documento per intero 

Di seguito un estratto del documento elaborato dall’istituto Project on Defense Alternatives sui costi umani della guerra in Iraq.
Impressiona di più una cifra come 15.000 morti o 70.000.000.000 di dollari?
Temo la risposta.

Nations cannot wage war responsibly or intelligently without careful attention to its costs. An elementary part of coming to terms with these costs is an accounting of war fatalities. Among other things, this accounting is relevant to gauging the repercussions of a war, both locally and worldwide. With regard to the 2003 Iraq conflict:

* Between 19 March and 1 May 2003, Operation Iraqi Freedom cost the lives of approximately 201 coalition troops; 148 of these were Americans.

* On the Iraqi side: a review and analysis of the available evidence shows that approximately 11,000 – 15,000 Iraqis, combatants and noncombatants, were killed in the course of major combat actions. (Iraqi casualties incurred after 20 April are not included in this estimate). Of the total number of Iraqi fatalities during the relevant period, approximately 30 percent (or between 3,200 – 4,300) were noncombatant civilians — that is: civilians who did not take up arms.

These conclusions are based on an extensive review and analysis of operational data, demographic data, several hospital and burial society surveys, media interviews with Iraqi military personnel, battlefield fatality estimates made by US field commanders and embedded reporters, and media and non-governmental accounts of hundreds of civilian casualty incidents. (See Executive Summary section 6: “A note on methodology.”)

Expressed in terms of their mid-points, our estimates of Iraqi deaths are:

Total Iraqi fatalities:  12,950 plus or minus 2,150 (16.5 percent)
Iraqi noncombatant fatalities: 3,750 plus/minus 550 (15 percent)
Iraqi combatant fatalities:  9,200 plus/minus 1,600 (17.5 percent)

Notably, our estimates are framed in terms of “combatants and noncombatants,” rather than in terms of “civilians and military personnel.” This, because a significant number of civilians acted as combatants and some Iraqi military personnel fought and died out of uniform (and, thus, may have been mistaken for civilians). By some counts, between 5,000 and 7,000 of the Iraqis who died during the period of major combat operations were ostensibly “civilians.” However, based on demographic analyses, we count a significant minority of these as likely combatants. All of those we count as noncombatants in the estimate above were civilian. 

coltivare l’indignazione [ogm free]

inisco di mangiare, imbraccio Zoe e, in piedi di fronte al caminetto mediatico, mi accingo a guardare “report”. E qui commetto già un errore: di solito la visione del programma medio serale mi fa cadere, con la sua assenza di contenuti che attivino una qualsiasi minima attività intellettuale, inuna letargia immediata che si riverbera, ottimisticamente, sulla pargola. Con “report” non funziona: prima Marco Paolini, con la faccenda dei proiettili all’uranio impoverito e dei soldati “ossidati” dentro dal metallo, poi la puntata su Ilaria Alpi, non solo non mi hanno trasportato fra le braccia del sogno, ma hanno dato vita ad un incubo ad occhi aperti. Non è giusto guardare la televisione e trovarsi a pensare. Finora credevo che l’unica attività volontaria indotta dal tubo catodico potesse essere onanistica (letterine, letteronze, schedine, veline, soubrettinecome surrogato di giornalini porno) e non mi aspettavo certo che due mesi scarsi di trasmissioni potessero fornirmi l’unico motivo decente per pagare il canone.

Alla fine comunque io ero esausto e Zoe piangeva.

“report” ricomincia il 29 febbraio, ma io come lo colmo questo vuoto, picchiandomi con il cretino che butta la cartaccia dal finestrino della Golf o convincendo mia nonna che il nano di Arcore non le ha aumentato la pensione, anzi?

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