solipsist_
“Il solipsismo (dal latino solus, “solo” e ipse, “stesso”: “solo se stesso”) è la credenza secondo cui tutto quello che l’individuo percepisce venga creato dalla propria coscienza. Di conseguenza, tutte le azioni e tutto quello che fa l’individuo è parte di una morale prestabilita dal proprio io, ubbidendo pertanto solamente a quello che quest’ultimo dice, al di là delle leggi prestabilite dal mondo esterno, da altre soggettività, quindi. Contrariamente alle altre credenze, che hanno leggi e regole stabilite secoli addietro, il solipsismo si distingue in quanto le leggi da rispettare provengono direttamente dagli stati più interni dell’individuo, e pertanto hanno una credenza e una validità molto più veritiera di tutte quelle regole che altri individui avrebbero stabilito per conto nostro: gli stessi “non uccidere” e “non rubare” sono tali in quanto l’io, in quanto la morale personale sa ed è convinta che queste due azioni sono sbagliate, al di là del fatto che appartengono a leggi esterne. Psicologicamente, se l’io non sente quello che sentono gli altri, non può di conseguenza viverlo in contemporanea: se l’individuo è arrabbiato, gli altri in contemporanea vivono non sentendo questo sentimento, e in un certo qualmodo l’individuo per gli altri non esiste. Tutti gli io hanno diversi modi d’approccio alla realtà, soggettiva e caratterizzata da diversi punti di vista.”
{fonte: Wikipedia}
Tagli alla sanità
Vorrei, ma non posso.
Moleskine in stop motion
[il contenitore diventa contenuto e così via metaparlando]
Il nuovo che avanza (e abbonda)
“Sto parlando di quei posti intimi raccolti, con la luce bassa, senza musica, dove bere in solitudine non è ancora sospetto e i baristi non si sforzano di essere simpatici o loquaci, posti che non esistono più. I pochi sopravvissuti ai rifacimenti dei proprietari, ai cambi di gestione, agli architetti di grido e agli arredatori di moda, ai dj e ai barman acrobatici, ai punti luce e ai divanetti color crema, dehor e alla musica di sottofondo sono ormai defilati, quasi imboscati e cercano di non dare troppo nell’occhio. Si nascondono nel ventre di decadenti e blasonati alberghi, prediligono quartieri fuori mano, strade anguste poco battute. Hanno paura della furia iconoclasta del nostro popolo che è sempre pronto a lasciare il vecchio per il nuovo, il bello per il brutto, purche sia nuovo, purche sia brutto. Basta entrare in un pub londinese o in un bistrot parigino, affondare nei divani rugosi, carezzare i legni consunti o ammirare gli ottoni bruniti per capire che altrove non è così, che all’estero non si ha vergogna del passato. Se gli inglesi passato lo vivono, i francesi lo rimpiangono, gli italiani lo rimuovono.
Insomma le calamità saranno anche inevitabili, ma ad aggravarle c’è sempre la mano dell’uomo. E in questo caso la mano stringe il bicchiere con aperitivo. Il vero bar si è disciolto nell’aperitivo, una specie di metafora liquida dell’evanescenza e dell’inconcludenza dei nostri tempi.”
Filippo Bologna, “Unhappy hour”, IL ottobre 2012
Paolo Nori_piccole epifanie di cui accorgersi
«Mio zio Alex Vonnegut, un assicuratore che aveva studiato ad Harvard e che abitava al 5033 di North Pennsylvania Street, mi insegnò una cosa molto importante. Disse che quando le cose vanno davvero bene dovremmo fare in modo di accorgecene. Non parlava di grandi trionfi bensì di semplici epifanie: bere una limonata all’ombra in un pomeriggio afoso, sentire il profumo di una panetteria vicina, pescare e fregarsene se si pesca qualcosa o no, ascoltare qualcuno che suona bene il piano nell’appartamento accanto al nostro.
Zio Alex mi suggeriva, in tali occasioni, di dire a voce alta: “Se non è bello questo, cosa mai lo è?”».
Kurt Vonnegut, “Cronosisma”
George Fornero
(Rupert Sciamenna in una delle sue migliori interpretazioni dai tempi di Parco Sempione)
eat, Bob, eat
(thanx to ludwig)