conservatore o rivoluzionario?
sono affascinato dalla punteggiatura e l’ho sempre usata in abbondanza e spesso in maniera barocca per farcire le parole che utilizzavo. In fondo sono pochi segni, elementari come i tempi e le modalità di lettura che dettano, ma, da subito, c’era un qualcosa che sfuggiva a qualsiasi tentativo di razionalizzazione, di irregimentazione nel suo uso: il punto e virgola. Dove non mi piaceva l’assolutezza del punto e non mi soddisfaceva la debolezza della virgola, ecco che lì spuntava quel codicillo morse che ti dice, fermati solo un attimo che continuo a dirti ‘sta cosa. Ne ho piazzati tantissimi nei temi del liceo senza cognizione di causa tanto da rendere abitudine una regola che non ho mai assorbito. Fino ad oggi, quando tutti i dubbi mai esposti su questo incrocio imbastardito sono riafforati.
“Fred si interrogava sui misteri del punto e virgola.
Il punto, d’accordo, la virgola d’accordo, ma il punto e virgola? Come poteva, una frase, concludersi e proseguire al tempo stesso? Qualcosa in lui bloccava la rappresentazione di una fine continuata, o di una continuità interrotta, o il contrario, o qualcosa fra le due, vattelappesca. Cosa poteva, nella vita, corrispondere a quello schema? Una sorda angoscia della morte mescolata alla tentazione metafisica? Cos’altro?”
Tonino Benacquista, “Malavita”
La definizione che ne da’ l’Accademia della Crusca non rende più oggettiva la scelta di ‘sto coso…
“Il punto e virgola (punto acuto, punto coma) segnala una pausa intermedia tra il punto e la virgola e il suo uso spesso dipende da una scelta stilistica personale. Si adopera soprattutto fra proposizioni coordinate complesse e fra enumerazioni complesse e serve a indicare un’interruzione sul piano formale ma non sul piano dei contenuti
(«il capo gli si intorbidò di stanchezza, di sonno; e rimise la decisione all’indomani mattina», A. Fogazzaro, Piccolo mondo moderno).”
L’informazione, questa sconosciuta
La pista anarco-insurrezionalista.
Somiglia un pò alla fica che non c’è.
“Dove sei stato ieri?” domandano sovrappensiero gli amici.
” Dalla Monica…” risposta finto disinteressata. ( in realtà sei stato in
casa a romperti a romperti le ossa versus la televisione )
Tutti si voltano simultaneamente: “E chi cazzo è la Monica???”
” Dai… ve l’ho detto… la Monica…”
” Non ci avevi mai detto un cazzo invece! E allora? Dicci… Dicci… Chi è? Come è andata?”
” No… nulla… lasciamo perdere che è meglio…”
” Una maiala?” ( bava alla bocca )
” Maronn… Non mi ci fare pensare che…”
” E dai! ”
” Una grandissima! ”
” Sei un mito! ”
” No, è lei che è un mito!”
“… la Monica…”
“… eeh… gia!”
…la pista anarco insurrezionalista…
Ma chi cazzo sono? Che cazzo vuol dire? Che forma hanno? Sono esseri umani?
O hanno le fattezze della specchiera della nonna? Quella grande specchiera
stuccata all’ingresso…
In quella casa sempre un pò in penombra.
OFP
recinzioni_o così o nulla
Mi invitano ad un pranzo di lavoro (ma perchè qualcuno la chiama “colazione”?, se sento odore di caffellatte dopo le 9,30 vomito). Io non mangio pesce e non so perchè già il marchio del ristorante mi fa sentire a disagio: due pesci sovapposti, uno intero, dell’altro solo la lisca.
Entriamo e capisco tutto: odore di pesce e avventori con facce da pesci lessi. Ci sediamo e dopo una buona mezzoretta ecco che abbocca il cameriere, un ominide pelato con un espressione da seppia stampata in faccia. Enuncia i piatti con una velocità ed un volume da rapper bianco cicaghese: siamo in alto mare. Arriva il momento della verità , gli dico che non mangio pesce: la seppia si trasforma in pesce palla gonfio con occhi da boccalone e tradendo lo sconcerto mi mormora “prosciutto”. E sia prosciutto, purchè il maiale abbocchi alla svelta. Macchè, un’altra mezzora per averne tre fette che faccio fuori con terragna famelicità , ma anche con francescana sopportazione. Al tavolo i miei commensali divorano con piacere una sequenza senza fine di antipasti.
Altra mezzora di attesa e lanciamo di nuovo un’esca per attirare quello sparnocchio del cameriere che va ad enunciare i primi: stessa pantomima degli antipasti e scelta forzata di “uno spaghettino al pomodoro fresco”. Al tavolo dietro di noi viene individuato un osso di bistecca spolpato: se lo devono essere portato da casa.
Altra mezzora, sono quasi le tre, e arriva lo spaghettino. Si sa le ricette più semplici sono le più difficili, ma come cazzo fai con del pomodoro, dell’olio e dell’aglio a tirare fuori un retrogusto di paranza? Non indago, deglutisco pensando che un po’ di fosforo non può che farmi benone e mi viene in mente che gli elettrodi alle palle o una cella a Guantanamo non sono poi così male.
Ordiniamo i caffè, che mi aspettavo fatti con acqua salata e mentre ce ne andiamo mi sento come la ragazza che si fa una nuotata all’inizio de “Lo squalo”, così esco per primo e trovo anche il tempo di prendere il secchio della vernice e il pennello per fare un altro crocione su un altro ristorante viareggino.
Per eleganza non cito il nome del ristorante che è “Giorgio”.
spendi, rischi la vita e ti prendono per il culo
potrebbe sembrare una immagine [riuscita] di una campagna sociale contro il fumo, ma è realtà .